Ricorso  della  Regione  Friuli-Venezia   Giulia   (cod.   fisc.
80014930327; P. IVA 00526040324), in  persona  del  presidente  della
regione  pro  tempore  avv.  Debora  Serracchiani,  autorizzata   con
deliberazione della giunta regionale n.  228  del  14  febbraio  2017
(doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale a  margine
del presente ricorso, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc.
FLCGDM45C06L736E) del Foro di Padova, con studio in Padova,  via  San
Gregorio Barbarigo, 4, telefono 049-660231, telefax 049-8776503,  PEC
giandomenico.falcon@ordineavvocatipadova.it     ed      elettivamente
domiciliata in Roma presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione,
in Piazza Colonna n. 355; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   pro   tempore,   per   la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi
392, 394, 463, 466, 483, 519 e 528, della legge 11 dicembre 2016,  n.
232, «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario  2017
e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019»,  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  n.  297  del  21  dicembre  2016  -  supplemento
ordinario n. 57; 
    per violazione: 
    degli articoli 3, 25, 81, 97, 119, 120 e 136 della  Costituzione,
anche in riferimento all'art. 10 della legge costituzionale n. 3  del
2001, dell'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012, dell'art. 9  della
legge n. 243 del 2012, come modificato dalle legge n. 164 del 2016; 
    degli articoli 7, 25, 48, 49, 51, 63 e 65 dello Statuto  speciale
(legge cost. n. 1 del 1963); 
    del  principio  di  ragionevolezza,  del   principio   di   leale
collaborazione e del principio dell'accordo  in  materia  di  finanza
regionale (articoli 63 e 65 dello statuto  speciale,  art.  27  della
legge n. 42 del 2009); 
    delle norme di attuazione di cui al decreto del Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in  materia  di  finanza
regionale), al decreto legislativo 2 gennaio 1997,  n.  8  (Norme  di
attuazione dello  statuto  speciale  per  la  regione  Friuli-Venezia
Giulia recanti modifiche ed integrazioni al  decreto  del  Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1965,  n.  114,  concernente  la  finanza
regionale); al decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137  (Norme  di
attuazione   dello   statuto   speciale   della   regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza  regionale);  al  decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione  dello  statuto
speciale  per  la  regione  Friuli-Venezia  Giulia  in   materia   di
ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni). 
 
                           Fatto e diritto 
 
Premessa. 
    Il presente ricorso si riferisce  ad  alcune  disposizioni  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232, Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019. Precisamente, si tratta dell'art. 1, commi 392, 394,  463,
466, 483, 519 e 528. 
    La ricorrente Regione ritiene che tali commi presentino  elementi
costituzionalmente illegittimi e lesivi  della  propria  autonomia  e
sfera finanziaria. 
    Non si ignora, naturalmente, l'esistenza dell'art. 1, comma  638,
il quale  prevede  che  «le  disposizioni  della  presente  legge  si
applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di
Trento e di Bolzano compatibilmente con i  rispettivi  statuti  e  le
relative norme  di  attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Tale clausola,  tuttavia,  non
e' di per se' idonea a evitare  che  le  disposizioni  specificamente
indirizzate alle  autonomie  speciali,  e  in  particolar  modo  alla
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  (nonche'  aventi  contenuto   lesivo
dell'autonomia stessa, come  le  norme  impugnate),  possono  trovare
comunque applicazione. 
    Trattandosi nel presente ricorso di questioni  diverse,  conviene
esporre distintamente per ciascuna di esse gli elementi di fatto e di
diritto che le caratterizzano, in relazione ai  quali  la  ricorrente
Regione chiede a codesta ecc.ma Corte costituzionale la dichiarazione
di illegittimita' costituzionale. 
I. Illegittimita' costituzionale del comma 466. 
    Premessa. 
    L'art.  1,  comma  466,  per  una  parte  riproduce  i  contenuti
dell'art. 9 della legge n. 243 del 2012, come modificato dall'art. 1,
comma 1, della legge n. 164 del 2016; per altra parte, invece,  detta
norme limitative  alla  rilevanza  del  fondo  pluriennale  vincolato
quando esso sia finanziato da fonti  diverse  rispetto  alle  entrate
finali. 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia  ha  gia'  impugnato  innanzi  a
codesta ecc.ma Corte l'art. 1, comma 1, lettera b),  della  legge  n.
164 del 2016, ritenendolo  lesivo  e  costituzionalmente  illegittimo
nelle  parti  in   cui   impedisce   di   considerare   l'avanzo   di
amministrazione ai fini dell'equilibrio di bilancio  e  restringe  la
possibilita' di  prendere  in  considerazione  il  fondo  pluriennale
vincolato. Il ricorso e' pendente ed e' iscritto al n.  71  del  2016
R.R. 
    Il presente ricorso fa valere un duplice motivo di  impugnazione.
In primo luogo censura la riproduzione, a mezzo di una fonte priva di
competenza, di norme riservate alla competenza della legge rinforzata
dell'art. 81, comma sesto, Cost., e dell'art. 5 della legge n. 1  del
2012. Tale  censura  lamenta  un  vizio  di  incompetenza,  e  dunque
prescinde dalla valutazione di tali  norme  nel  loro  contenuto.  In
secondo luogo, il ricorso censura anche i vizi di contenuto, e dunque
il contrasto con parametri costituzionali sostanziali. 
I.1. Illegittimita' del comma 466, primo, secondo e  quarto  periodo,
per incompetenza, con violazione dell'art. 81, comma sesto, Cost.,  e
dell'art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012. 
    Il comma 466, primo, secondo e quarto periodo, dell'art. 1  altro
non  fa  che  riprodurre  quanto  stabilisce  l'art.  9  della  legge
rinforzata n. 243 del 2012, come novellato dalla  legge  (rinforzata)
n. 164 del 2016. 
    In particolare, il primo periodo del comma 466 stabilisce che  «a
decorrere dall'anno 2017 gli enti di cui al comma  465  del  presente
articolo - cioe' le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, le citta' metropolitane, le province e  i  comuni  -  devono
conseguire il saldo non negativo, in termini di  competenza,  tra  le
entrate finali e le spese finali, ai  sensi  dell'art.  9,  comma  1,
della legge 24 dicembre 2012, n. 243». Il  secondo  periodo  aggiunge
che «ai sensi del comma 1-bis del medesimo art. 9, le entrate  finali
sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4  e  5  dello  schema  di
bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n.  118,  e
le spese finali sono quelle ascrivibili  ai  titoli  1,  2  e  3  del
medesimo schema di bilancio». 
    Il quarto periodo stabilisce  che,  «a  decorrere  dall'esercizio
2020,  tra  le  entrate  e  le  spese  finali  e'  incluso  il  fondo
pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate
finali». 
    La disposizione riproduce, nel contenuto precettivo ma per quanto
riguarda il terzo e quarto periodo anche nel tenore letterale, quanto
sancisce l'art. 9, commi 1 ed 1-bis e della legge n. 243 del 2012. 
    Sennonche'  la  competenza  a  dettare  le  regole   conformative
dell'obbligo  del  pareggio  di  bilancio  che   grava   sugli   enti
territoriali  e  anche  sulla  Regione  autonoma  per  effetto  degli
articoli 81 e 119 Cost. (e anche dall'art. 97  Cost.)  e'  riservata,
dall'art.  81,  sesto  comma,  Cost.,  e  dall'art.  5  della   legge
costituzionale n. 1 del 2012, ad una legge  rinforzata,  approvata  a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera. 
    Ne consegue che la comune legge ordinaria  non  puo'  sostituirsi
alla legge  rinforzata  con  riguardo  agli  oggetti  riservati  alla
seconda, pena la violazione della riserva. 
    L'identita' tra  i  precetti  contenuti  nelle  disposizioni  qui
impugnate con quelli dettati dall'art. 9 della legge n. 243 del  2012
non esclude, quanto piuttosto conferma, la sussistenza dell'invasione
di competenza. 
    E' infatti  insegnamento  consolidato  di  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale  che  la  violazione  delle  norme  sulla   competenza
comporta invalidita' delle norme che hanno invaso l'ambito  riservato
ad altra fonte, senza che la violazione sia esclusa dalla conformita'
o identita' delle norme invasivi rispetto a quelle compenti. 
    In applicazione di questo principio codesta Corte  costituzionale
ha in numerose occasioni dichiarato illegittime disposizioni di leggi
regionali riproduttive di norme statali,  sul  rilievo  che  in  tale
ipotesi si avrebbe - come accade nel presente caso  -  una  «indebita
novazione della fonte» (sent. n. 203 del 1987). 
    Cosi', ad esempio, la sentenza n.  98  del  2013,  relativa  alla
illegittimita' di una disposizione regionale  riproduttiva  di  norma
statale in materia di tutela della concorrenza, rileva che  la  norma
locale, «oltre che pleonastica, si pone in contrasto con il principio
ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui, in presenza  di
una materia attribuita alla competenza esclusiva  dello  Stato,  alle
Regioni  e'  inibita  la  stessa  riproduzione  della  norma  statale
(sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006)»,
e che «il  criterio  formale  di  esclusione  della  possibilita'  di
novazione della fonte ad opera della Regione deriva ...  direttamente
dalla  incompetenza  della  Regione  a  regolamentare   una   materia
certamente ascrivibile alla tutela della concorrenza». 
    Analogamente, nella sentenza n. 31 del 2011, codesta Corte,  dopo
aver osservato che il problema non era  quello  di  stabilire  se  la
norma relativa al riconoscimento  della  qualifica  di  ufficiale  di
polizia giudiziaria al personale di polizia locale fosse o non  fosse
conforme a quella statale, ma, ancor prima,  se  fosse  competente  o
meno a disporre il riconoscimento delle qualifiche di cui si  tratta,
ha ribadito che la sua giurisprudenza e' «costante nell'affermare che
"la novazione della fonte con intrusione negli ambiti  di  competenza
esclusiva statale costituisce causa di  illegittimita'  della  norma"
regionale». 
    In analogo  ordine  di  idee  del  resto,  con  riferimento  alla
riproduzione di regolamenti comunitari da parte della legge nazionale
l'illegittimita' delle norme novative e' stata riconosciuta sia dalla
Corte di giustizia delle comunita' europee (CGCU, sentenza 10 ottobre
1973,  Variola  c.  Amministrazione  italiana  delle  Finanze,  Causa
34-73), sia da codesta Corte  costituzionale  (sentenze  n.  232  del
1975, n. 205 del 1976, n. 163 del 1977). 
    Risulta poi evidente che la  riproduzione  in  diversa  fonte  di
norme riservate ad altra fonte viola anche il principio  di  certezza
del diritto (e dunque il principio di ragionevolezza), occultando  ai
cittadini e agli operatori  la  effettiva  fonte  della  validita'  e
operativita' della norma. 
    Le considerazioni sopra esposte non  potrebbero  essere  superate
affermando che le norme qui impugnate della legge  di  bilancio  2016
abbiano  carattere  attuativo  della  legge  rinforzata,  ad  esempio
rappresentando una applicazione all'esercizio finanziario 2017  delle
regole generali stabilite dalla legge n. 243 del 2012. A  prescindere
dal problema della estensione della riserva, infatti, e' evidente  il
loro carattere duplicativo: il comma 466, esattamente come l'art.  9,
comma 1 ed 1-bis, detta a sua volta norme generali che si applicano a
tutti i bilanci successivi, «a decorrere dall'anno 2017»  per  quanto
riguarda l'obbligo di equilibrio e la composizione  delle  entrate  e
delle uscite finali, e «a decorrere dall'esercizio 2020», per  quanto
riguarda l'inclusione del fono pluriennale vincolato di entrata e  di
spesa, solo se finanziato dalle entrate finali. 
    Carattere di norma di esecuzione dell'art. 9, comma 1-bis,  della
legge n. 243 del 2012 puo' essere assegnato soltanto al terzo periodo
del comma 466, secondo cui «per gli anni 2017-2019, nelle  entrate  e
nelle spese finali in termini di competenza e' considerato  il  fondo
pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al  netto  della  quota
riveniente  dal  ricorso  all'indebitamento»,  che  appunto   prevede
l'introduzione del fondo pluriennale vincolato sulla base  di  quanto
prefigurava  il  citato  comma  1-bis,  il  quale   affidava   questa
decisione,  per  gli  anni  2017-2019,  alla   legge   di   bilancio,
«compatibilmente con gli obiettivi di  finanza  pubblica  e  su  base
triennale». 
    Il vizio che la ricorrente Regione fa  qui  valere  ha  carattere
logicamente preliminare ed assorbente rispetto  ai  vizi  sostanziali
che si illustrano al punto successivo, al quale pero' si fa rinvio ai
fini  della  illustrazione  di  come   la   lesione   del   parametro
costituzionale  invocato  nella  presente   censura   ridondi   sulle
attribuzioni costituzionali della ricorrente.  Sia  pero'  consentito
fin da subito evidenziare che le regole restrittive  della  autonomia
finanziaria della Regione speciale sono ammesse soltanto se contenute
nella legge rinforzata prevista dall'art. 81, sesto comma,  Cost.,  e
dall'art.  5  della  legge  costituzionale  n.  1  del  2012,  e  che
l'aggravamento previsto per  l'approvazione  di  tale  legge  atipica
costituisce una specifica forma  di  garanzia  a  favore  degli  enti
dotati di autonomia. Da cio' consegue che la  Regione  e'  pienamente
legittimata a far valere la violazione di una  regola  che  e'  posta
anche nel suo interesse. 
    A cio' si aggiunga che gli eventuali  limiti  alla  autonomia  di
bilancio della Regione, che ha garanzia costituzionale negli articoli
7 e 25 dello statuto, sono ammessi solo con il  metodo  dell'accordo.
Se alla legge rinforzata di cui all'art. 81, sesto comma,  Cost.,  e'
stata riconosciuta l'attitudine di derogare al metodo pattizio (cosi'
la sentenza n. 88 del 2014), tale forza non hanno  invece  le  comuni
leggi ordinarie. 
    Anche sotto profilo va affermata la legittimazione della Regione,
senza che l'interesse ad agire della  ricorrente  sia  esclusivo  dal
contenuto  meramente  novativo  delle  disposizioni  impugnate,   dal
momento che, trattandosi  di  ricorso  contro  atti  normativi,  ogni
riproduzione della norma lesiva rinnova e rende attuale la lesione. 
    Fermo il carattere  assorbente  della  censura  svolta  sopra  in
relazione all'art. 1, comma 466, primo secondo e quarto periodo,  nel
presente motivo la Regione impugna lo stesso comma 466,  nella  parte
in cui elenca i titoli di entrata e di spesa  considerabili  ai  fini
del rispetto della  regola  dell'equilibrio  di  bilancio  escludendo
l'eventuale avanzo  dell'esercizio  precedente  (secondo  periodo)  e
ponendo limiti all'utilizzo dell'avanzo di bilancio (quarto periodo). 
    Cio'  premesso,  si  espongono  partitamente   le   censure   che
interessano il secondo periodo  e  quelle  che  investono  il  quarto
periodo  della  disposizione.  Tali   censure   riprendono   analoghe
doglianze proposte contro le identiche disposizioni  della  legge  n.
243 del 2012, novellata dalla legge n. 164 del 2016. 
I.2.1. Illegittimita' del comma 466, secondo periodo. 
    Il comma 466, secondo periodo, stabilisce che «ai sensi del comma
1-bis del medesimo art. 9, le entrate finali sono quelle  ascrivibili
ai titoli 1, 2, 3, 4 e  5  dello  schema  di  bilancio  previsto  dal
decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le  spese  finali  sono
quelle ascrivibili ai  titoli  1,  2  e  3  del  medesimo  schema  di
bilancio». 
    Trattasi delle seguenti entrate: Titolo 1,  entrate  correnti  di
natura   tributaria,   contributiva   e   perequativa;   Titolo    2,
trasferimenti correnti; Titolo 3, entrate extratributarie; Titolo  4,
entrate  in  conto  capitale;  Titolo  5,  entrate  da  riduzione  di
attivita' finanziarie. Dunque  tra  le  entrate  finali  che  possono
essere prese in considerazione ai fini  dell'equilibrio  di  bilancio
non trova immediata collocazione  l'eventuale  avanzo  dell'esercizio
precedente. La Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene che  la  mancata
espressa menzione di tale posta di bilancio possa essere  intesa  nel
senso di divieto  di  utilizzazione,  nel  calcolo  del  bilancio  in
equilibrio, dell'avanzo di amministrazione dell'esercizio precedente. 
    Tale timore e' confermato dalla disciplina degli spazi finanziari
coperti dall'avanzo dettata dall'art. 10, commi 3 e 4, della legge n.
243 del 2012. Le  disposizioni  ora  citate  pongono  una  disciplina
limitativa all'utilizzo dell'avanzo  di  amministrazione,  prevedendo
che esso possa impiegato sulla base di intese a livello  regionale  o
dei patti di solidarieta' nazionali. In  applicazione  dell'art.  10,
comma 4, l'art. 1, comma 485, della stessa legge  di  bilancio  2017,
dispone che per «favorire gli investimenti, da realizzare  attraverso
l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti
e il ricorso al  debito,  per  gli  anni  2017,  2018  e  2019,  sono
assegnati agli enti locali spazi  finanziari  nell'ambito  dei  patti
nazionali, di cui all'art. 10, comma 4, della legge 24 dicembre 2012,
n. 243, nel limite complessivo di 700 milioni di curo annui,  di  cui
300 milioni di curo destinati a interventi di edilizia scolastica». 
    Ove questa fosse l'interpretazione corretta, i  concreti  effetti
lesivi della norma impugnata  sarebbero  particolarmente  intensi  (e
percio'  anche  irragionevolmente  discriminatori)  proprio  per   la
Regione Friuli-Venezia Giulia. 
    Premesso infatti che la  Regione  ha  come  principale  fonte  di
entrata le compartecipazioni ai tributi  erariali,  la  presenza  sul
territorio  regionale  di  grandi  gruppi   (e   quindi   di   grandi
contribuenti,  che  comunemente  praticano  operazioni  societarie  o
intragruppo, con rilevanti effetti tributari) rende molto  variabile,
di anno in anno, la dimensione delle entrate regionali.  A  causa  di
cio' l'ammontare delle entrate non e'  prevedibile  dalla  Regione  e
quindi non e' programmabile ex ante, dal momento che essa ha contezza
della  entita'  della  compartecipazione  di  sua  spettanza  solo  a
versamento avvenuto e dunque a saldo, secondo quanto  previsto  dalle
norme di attuazione dello statuto speciale. 
    La  combinazione  delle  speciali  regole  costituzionali   sulla
finanza  regionale  con  la  particolare  composizione  dei  soggetti
passivi d'imposta, che rende mutevole la massa imponibile,  e  con  i
meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente previsti, comporta
la fisiologica formazione di avanzi di bilancio (o disavanzi). Questi
costituiscono una parte essenziale  della  finanza  regionale  devono
trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell'anno
seguente utili fini del pareggio di bilancio. 
    Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso  della  Regione,
lesiva della  propria  autonomia  finanziaria  ed  illegittima  sotto
diversi  profili,  che  vengono  qui  prospettati  sulla  base  della
premessa che un simile meccanismo non  ha  alcuna  base  nella  legge
cost. n. 1 del 2012 (i cui principi al contrario risultano  anch'essi
in parte violati), e che dunque  nella  fissazione  delle  regole  di
equilibrio finanziario non possono essere sovvertiti  i  principi  di
base dell'autonomia finanziaria regionale. 
    In  primo  luogo,  l'avanzo  di  amministrazione   dell'esercizio
precedente, una volta che sia stato  accertato  e  rappresentato  nei
rendiconti, e' un elemento patrimoniale della Regione, che  la  norma
impugnata, secondo quanto qui prospettato,  renderebbe  indisponibile
da parte dell'ente (salvo che alle  condizioni  di  cui  all'art.  10
della legge n. 243 del 2012, come novellata dalla legge  n.  164  del
2016),  generando  una  situazione   equivalente   alla   sottrazione
materiale  di  risorse,  analoga  alla  previsione  di  una   riserva
all'erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote  di
tributi erariali di spettanza regionale. 
    Se tale e' la sostanza dell'avanzo, ad avviso  della  Regione  la
disposizione restrittiva lede le norme dello statuto  speciale  nelle
quali e' fondata la sua autonomia  finanziaria,  e  dunque  le  norme
contenute nel Titolo IV della legge costituzionale n. 1 del 1963,  in
particolare l'art. 48, che costruisce la finanza dell'ente  come  una
finanza propria della Regione («La Regione ha  una  propria  finanza,
coordinata con quella dello Stato, in armonia con  i  principi  della
solidarieta' nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»);
l'art. 49, che attribuisce alla Regione quote dei  tributi  erariali;
l'art. 51, che individua le altre entrate  della  Regione;  dell'art.
63, ultimo comma, dello statuto speciale, che consente modifiche alle
norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto. 
    Violate  sono  anche  le  corrispondenti   norme   sull'autonomia
finanziaria e patrimoniale della  Regione  contenute  nell'art.  119,
primo, secondo e sesto comma, Cost., invocato anche  in  combinazione
con l'art. 10 della legge costituzionale n.  3  del  2001,  ove  piu'
favorevole.  Considerando  poi  l'effetto  sostanziale  «sottrattivo»
sopra descritto, risulta violato anche il principio dell'accordo,  in
applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra
lo Stato e il Friuli-Venezia Giulia, principio sotteso agli  articoli
63 (gia' richiamato)  e  65  (in  tema  di  procedura  negoziata  per
l'approvazione delle norme di attuazione) dello statuto, nonche' alle
norme di  attuazione  contenute  nel  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in  materia  di  finanza
regionale), nel decreto legislativo 2 gennaio 1997, n.  8  (Norme  di
attuazione dello  statuto  speciale  per  la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia recanti modifiche ed integrazioni al  decreto  del  Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1965,  n.  114,  concernente  la  finanza
regionale); nel decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme  di
attuazione   dello   statuto   speciale   della   Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale),  e  ribadito,
con riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale,  dall'art.  27
della legge n. 42 del 2009. 
    La norma non puo'  essere  nemmeno  essere  giustificata  con  le
esigenze della solidarieta' nazionale menzionate dall'art.  48  dello
Statuto (peraltro «nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»  dello
stesso statuto), o con le esigenze di  concorso  della  Regione  alla
sostenibilita'   del   debito   del   complesso    delle    pubbliche
amministrazioni, menzionate dall'art. 81, sesto comma,  e  97,  primo
comma, Cost., nonche' dall'art. 5, comma 2,  della  legge  n.  1  del
2012. 
    Invero, e' ipotizzabile che  l'avanzo  di  amministrazione  venga
«sterilizzato» ai fini dell'equilibrio del  bilancio  regionale  allo
scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto  consolidato
delle  amministrazioni  pubbliche  ai  fini   della   rendicontazione
europea; ma tale forma di concorso  alla  sostenibilita'  del  debito
pubblico sarebbe  comunque  incompatibile  con  molteplici  parametri
costituzionali. 
    Sarebbe violato, anzitutto, il  principio  per  cui  l'equilibrio
complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in  equilibrio
e non dalla somma algebrica di bilanci  in  disavanzo  e  bilanci  in
attivo; la possibilita' di compensazioni, del  resto,  e'  consentita
soltanto nei limiti di cui all'art. 10 della legge n. 243  del  2012,
in relazione alle operazioni di investimento. 
    Tale principio si ricava dall'art. 81, primo  comma,  Cost.,  che
impone allo Stato di assicurare «l'equilibrio tra  le  entrate  e  le
spese del proprio bilancio» e l'art. 119,  primo  comma,  Cost.,  che
analogamente impone agli enti territoriali «l'equilibrio dei relativi
bilanci». 
    Quando  l'art.  97,  primo  comma,  Cost.,  stabilisce  che   «le
pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento  dell'Unione
europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilita'  del
debito  pubblico»,  esso   impone   a   tutte   le   amministrazioni,
singolarmente prima che nel loro complesso, di avere un  bilancio  in
equilibrio. 
    Si precisa che la Regione e' legittimata a far  valere  anche  la
violazione degli articoli 81, primo comma, e art.  97,  primo  comma,
Cost., sia perche' - come e' stato rilevato in letteratura -  «quella
dell'equilibrio dei rispettivi  bilanci  e'  una  sorta  di  garanzia
reciproca che tutti i livelli di governo mutuamente si prestano»  (in
tali termini M.  Luciani,  L'equilibrio  di  bilancio  e  i  principi
fondamentali: la  prospettiva  del  controllo  di  costituzionalita',
relazione al Seminario organizzato da codesta Corte su  Il  principio
dell'equilibrio di bilancio secondo  la  riforma  costituzionale  del
2012, nei relativi Atti, alla pagina 39), sia perche' la declinazione
dell'equilibrio di bilancio come un  equilibrio  complessivo,  creato
anche attraverso la sterilizzazione degli avanzi di  amministrazione,
ha un ovvio impatto  sull'autonomia  finanziaria  della  Regione,  la
quale si vede impossibilitata ad utilizzare ai fini del  pareggio  il
saldo favorevole realizzato a  consuntivo  dell'esercizio  precedente
(questo impatto e' notevolissimo nel caso del Friuli-Venezia  Giulia,
come si e' detto supra). 
    In secondo luogo, questo meccanismo violerebbe anche il principio
di veridicita' e di trasparenza  dei  bilanci  e  di  responsabilita'
politica per gli stessi, implicito, oltre  che  nell'art.  81  Cost.,
nelle  norme  statutarie  che  riservano   al   Consiglio   regionale
l'approvazione dei bilanci (art. 7, per cui la Regione «provvede  con
legge: 1) all'approvazione dei bilanci di previsione e dei rendiconti
consuntivi»; art. 25, commi primo e  quarto,  per  cui  il  Consiglio
regionale, «approva il  bilancio  di  previsione  della  Regione»  ed
«esamina  ed  approva  il  conto   consuntivo   della   Regione   per
l'esercizio»). 
    L'organo rappresentativo, che risponde al  corpo  elettorale,  si
troverebbe costretto dalla norma impugnata (se intesa  nel  modo  qui
avversato) ad approvare un bilancio non trasparente e non  veritiero,
perche' l'avanzo degli  esercizi  precedenti,  pur  registrato  nelle
scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile  ai  fini
del  pareggio  di  bilancio,  in  quanto  esso  viene   imputato   al
consolidamento dei conti della pubblica  amministrazione  e  in  esso
confuso. L'elettore verrebbe  cosi'  privato  della  possibilita'  di
comprendere  l'effettivo  andamento  della  finanza  regionale  e  di
valutare corrispondentemente l'operato  degli  amministratori  e  dei
rappresentanti eletti. 
    Non a caso, codesta Corte costituzionale, nella sentenza  n.  188
del 2016 (al punto 4), a proposito degli accantonamenti operati dallo
Stato sulle quote di entrate erariali di spettanza della Regione,  ha
valorizzato il principio della  chiarezza  e  della  trasparenza  dei
rapporti tra prelievi ed impieghi quale presupposto indefettibile per
l'esplicazione  della  esponenzialita'   degli   enti   territoriali,
osservando  che   le   collettivita'   locali   «hanno   diritto   ad
un'informazione chiara e trasparente sull'utilizzazione del  prelievo
obbligatorio e sulla imputabilita' delle scelte politiche sottese  al
suo impiego» e ricordando che «l'art. 1 della legge n.  42  del  2009
declina  l'autonomia  degli  enti  territoriali  come  finalizzata  a
garantire «i principi di solidarieta' e di coesione sociale [nonche']
la massima responsabilizzazione [di detti enti] e l'effettivita' e la
trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti"». 
    In terzo  luogo,  sarebbe  violato  anche  il  principio  sotteso
all'art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1  del
2012, che vuole appositamente regolate  le  modalita'  attraverso  le
quali i Comuni, le Province, le Citta' metropolitane, le Regioni e le
Province  autonome  di  Trento   e   di   Bolzano   concorrono   alla
sostenibilita'   del   debito   del   complesso    delle    pubbliche
amministrazioni. 
    Non  puo'  dirsi  regolazione  quello  che  e'  solo  un  effetto
indiretto - per quanto voluto - di una regola contabile (non  a  caso
contenuta in una disposizione che non si occupa  del  concorso  degli
enti territoriali alla sostenibilita' del debito pubblico, che invece
e' oggetto di altra previsione). 
    Sotto tale  profilo  risultano  violati  anche  il  principio  di
ragionevolezza ed il principio di eguaglianza,  dal  momento  che  la
norma produce effetti del tutto casuali e scorrelati da  una  vera  e
propria «capacita' contributiva» dell'ente, poiche'  la  presenza  di
una avanzo di amministrazione non e' di per se'  sintomatica  di  una
situazione finanziaria dell'ente realmente buona, ne'  significa  che
tutto quell'avanzo possa essere contabilizzato a servizio del  debito
consolidato della amministrazioni pubbliche. Come sopra esposto,  per
la  Regione  ricorrente  si  produrrebbe  uno   strutturale   effetto
discriminatorio, con violazione anche del principio di uguaglianza. 
    Questo rilievo di irragionevolezza e' confermato, sul  piano  dei
dati normativi, dal fatto che la norma impugnata si pone in contrasto
con la logica interna del sistema delineato dalla legge rinforzata n.
243 del 2012, che configura il pareggio di bilancio come un obiettivo
di  medio  termine  (art.  3,  comma  2:  «l'equilibrio  dei  bilanci
corrisponde   all'obiettivo   di   medio   termine»).   La    Regione
Friuli-Venezia   Giulia   sarebbe   costantemente   ostacolata    nel
raggiungimento di questo obiettivo dalla permanente sottrazione  alla
propria disponibilita' delle  risorse  che  pure  statutariamente  le
spettano, ma  che  non  puo'  ragionevolmente  riuscire  a  impiegare
nell'anno di riscossione per la struttura stessa  del  meccanismo  di
riscossione. 
    Palese e' la ridondanza  di  tale  violazione  sull'esercizio  di
competenze costituzionalmente riservate alla Regione. Si  richiamano,
a  titolo  di  esempio,  talune   delle   funzioni   legislative   ed
amministrative che richiedono l'approvazione di spese e  l'erogazione
di fondi; quali: a) tra le competenze  primarie  (art.  4  e  art.  8
Statuto, o se piu' favorevoli le  analoghe  competenze  residuali  ex
art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione con  l'art.  10  della
legge costituzionale n. 3 del 2001) agricoltura e foreste, bonifiche,
ordinamento delle minime unita' culturali e ricomposizione fondiaria,
irrigazione, opere di miglioramento agrario e  fondiario,  zootecnia,
ittica, economia montana, corpo forestale; viabilita',  acquedotti  e
lavori pubblici di interesse locale e regionale; turismo e  industria
alberghiera;  trasporti  su   funivie   e   linee   automobilistiche,
tranviarie e filoviarie, di interesse  regionale;  acque  minerali  e
termali;  istituzioni  culturali,  ricreative  e  sportive;  musei  e
biblioteche di interesse locale e regionale;  b)  per  le  competenze
legislative concorrenti, l'igiene e sanita' (o, se  piu'  favorevole,
la tutela della salute ex articoli 117, terzo comma, Cost., combinato
con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001). 
I.2.2. Illegittimita' del comma 466, quarto periodo. 
    Come sopra esposto, il quarto periodo del  comma  466  stabilisce
che «a decorrere dall'esercizio 2020,  tra  le  entrate  e  le  spese
finali e' incluso il fondo pluriennale  vincolato  di  entrata  e  di
spesa, finanziato dalle entrate finali». La disposizione pone  dunque
limiti alla rilevanza  dell'avanzo  di  bilancio  se  utilizzato  per
finanziare il  fondo  pluriennale  vincolato,  consentendo  cioe'  il
computo di tale fondo ai fini dell'equilibrio  di  bilancio  solo  se
questo sia stato finanziato tramite le entrate finali (e  quindi  non
con   l'avanzo   di   amministrazione).   Oggetto   della    presente
contestazione e' tale limitazione.  Giova  rammentare  che  il  fondo
pluriennale  vincolato  e'  una  posta  di  bilancio  introdotta   in
esecuzione  dei  principi  statali  di  armonizzazione  dei   bilanci
pubblici dettati dal decreto legislativo n. 118 del 2011. Il fondo e'
costituito da risorse gia' accertate e  gia'  impegnate  in  esercizi
precedenti, ma destinate al  finanziamento  di  obbligazioni  passive
dell'ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a  quello
in  cui  e'  accertata  l'entrata.  Il  fondo  pluriennale  vincolato
rappresenta dunque un saldo finanziario a garanzia della copertura di
spese imputate ad esercizi successivi a quello in corso  e  configura
lo strumento tecnico per ricollocare  su  tali  esercizi  spese  gia'
impegnate,  relativamente   alle   quali   sussiste   un'obbligazione
giuridicamente perfezionata, e quindi  un  vincolo  ad  effettuare  i
relativi pagamenti i quali, tuttavia, giungeranno  a  scadenza  negli
esercizi sui quali vengono reimputate le  spese.  Tale  reimputazione
risulta obbligatoria ai sensi del  decreto  legislativo  n.  118  del
2011. 
    Trattandosi di spese gia' impegnate su esercizi precedenti,  esse
risultano finanziariamente gia' coperte con entrate di tali esercizi.
Proprio per  questo,  le  regole  dell'armonizzazione  prevedono  che
l'operazione di reimputazione  delle  spese  sia  accompagnata  dalla
reimputazione delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari
attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni
in cui erano state impegnate le spese. 
    Con riferimento al  fondo  pluriennale  vincolato,  la  legge  28
dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016), ne  aveva  previsto
la considerazione limitatamente all'anno 2016 ai fini dell'equilibrio
di bilancio (art. 1, comma 711,  secondo  periodo),  con  conseguente
esclusione per gli anni successivi. 
    La legge n. 164 del 2016 ha consentito anche per il triennio 2017
-  2019  l'inclusione  del  fondo  pluriennale  vincolato   ai   fini
dell'equilibrio di bilancio, subordinando pero' questa eventualita' a
successive previsioni della legge di bilancio  e  comunque  alla  sua
compatibilita' con  gli  obiettivi  di  finanza  pubblica.  Per  tale
triennio l'art. 1, comma 466, terzo periodo, della legge di  bilancio
2017 ha ora consentito di considerare il fondo pluriennale vincolato,
di entrata e di spesa, al netto della quota  riveniente  dal  ricorso
all'indebitamento e per questa parte la disposizione non  e'  oggetto
di impugnazione. 
    Come detto, si censura invece qui la previsione per cui a partire
dall'esercizio 2020 l'inclusione del fondo pluriennale vincolato  tra
le entrate e le spese finali e' consentita solo nella  parte  in  cui
esso e' finanziato con le entrate  finali,  con  esclusione,  quindi,
della  possibilita'  di  considerare  il   fondo   stesso   ai   fini
dell'equilibrio di bilancio se  esso  sia  stato  finanziato  tramite
l'avanzo di esercizio. 
    Anche questa limitazione  dell'attitudine  dell'avanzo  a  essere
valorizzato in tutti i suoi possibili impieghi contabili,  e  qui  in
particolare ai fini  del  fondo  pluriennale  vincolato,  importa  le
medesime violazioni  analiticamente  descritte  al  precedente  punto
1.2.1, in quanto una  componente  patrimoniale  della  Regione  viene
indebitamente  «sterilizzata»,  con  riferimento  all'equilibrio   di
bilancio. 
    La disposizione restrittiva, dunque, lede  anzitutto  l'autonomia
finanziaria della Regione, violando le norme contenute nel Titolo  IV
della legge costituzionale n. 1 del 1963, in particolare  l'art.  48,
che configura la finanza dell'ente come una finanza  propria;  l'art.
49, che attribuisce alla Regione quote dei tributi  erariali;  l'art.
51, che individua le altre entrate della Regione; l'art.  63,  ultimo
comma, dello statuto speciale,  che  consente  modifiche  alle  norme
predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto. 
    Lese  sono  anche   le   norme   sull'autonomia   finanziaria   e
patrimoniale della Regione dettate dall'art. 119,  primo,  secondo  e
sesto comma, Cost., ove piu' favorevole, in combinazione  con  l'art.
10 della legge costituzionale n. 3  del  2001;  nonche',  in  ragione
degli effetti sostanzialmente sottrattivi che  derivano  dalla  norma
qui contestata, il principio dell'accordo, ricavabile dagli  articoli
63 e 65 dello statuto e confermato dall'art. 27 della legge n. 42 del
2009 e dalle norme di attuazione elencate al precedente punto I.2.1. 
    Ad  avviso  della  ricorrente  Regione  tali   limitazioni   alla
computabilita'   del   fondo   pluriennale   vincolato   rimarrebbero
incostituzionali anche nell'ipotesi in cui esse  dovessero  ritenersi
strumentali alla sostenibilita'  del  debito  pubblico,  per  ragioni
corrispondenti a quelle esposte al punto precedente in relazione alla
problematica dell'avanzo di amministrazione. 
    Sarebbe infatti violato anche il principio  di  cui  all'art.  5,
comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1  del  2012,  che
vuole  appositamente  regolate  le  modalita'  con   cui   gli   enti
territoriali concorrono alla sostenibilita' del debito del  complesso
delle pubbliche amministrazioni. 
    Si ribadisce che un effetto indiretto di una regola  contabile  -
anche se e' voluto - non e' certo un modo in cui il predetto concorso
e' regolato. 
    Inoltre sarebbero lesi  il  principio  di  ragionevolezza  ed  il
principio di eguaglianza, considerato  che  tale  contributo  sarebbe
automaticamente generato in funzione della applicazione di una regola
contabile che e'  dettata  a  tutt'altri  fini  e  non  di  un  reale
«capacita' contributiva» dell'ente, visto che la presenza  avanzo  di
bilancio non e' necessariamente «strutturale», bensi' puo'  dipendere
- e nel caso del Friuli-Venezia Giulia effettivamente  dipende,  come
diffusamente si e' argomentato sopra -  dalle  regole  costituzionali
sulla entrate regionali,  fondate  sulle  compartecipazioni  e  dalla
indisponibilita' di informazioni sulla base imponibile, monopolizzate
dallo Stato. 
    Anche in questo caso, analogamente a quanto accade con  i  limiti
previsti dall'art. 1, comma  466,  secondo  periodo,  per  gli  altri
utilizzi dell'avanzo di bilancio, l'irragionevolezza della regola qui
contestata si riflette negativamente sull'esercizio delle  competenze
legislative  ed  amministrative   della   Regione   che   tipicamente
comportano programmazione di spesa (si pensi solo a  quelle  relative
ai lavori pubblici, ex art. 4 dello  statuto,  o  alla  tutela  della
salute, ai sensi dell'art. 5 dello statuto  o  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost. insieme con l'art. 10  legge  costituzionale  n.  3  del
2001): si rinvia, anche per questo profilo, a quanto esposto supra al
punto 1.2.1. 
    Poiche' l'introduzione del fondo pluriennale vincolato e' imposta
dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza  pubblica,
la sua limitata computabilita' ai fini del  pareggio,  se  finanziato
con  l'avanzo  di   bilancio,   e'   lesiva   anche   del   principio
costituzionale di leale collaborazione. 
II. Illegittimita' costituzionale dei  commi  392,  394  e  528,  per
violazione della autonomia finanziaria regionale (articoli  48  e  49
dello Statuto, art. 119 Cost.), del  principio  pattizio  in  materia
finanziaria e del principio di leale  collaborazione.  Illegittimita'
costituzionale per irragionevolezza e per disparita' in trattamento. 
a. Le norme del comma 392 per le Regioni speciali,  in  relazione  ai
precedenti disposti del comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208  del
2015. 
    Il  comma  392  della  legge  di  bilancio  2017  ridetermina  in
riduzione il  livello  del  finanziamento  del  fabbisogno  sanitario
nazionale standard cui concorre lo Stato, in dichiarata  applicazione
di quanto previsto dall'art. 1, comma 680, della  legge  n.  208  del
2015 e dall'intesa conclusa in sede di Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano in data 11 febbraio 2016. 
    Precisamente, esso stabilisce che «per gli anni 2017 e  2018,  il
livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard
cui concorre lo  Stato,  indicato  dall'intesa  sancita  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano dell'11 febbraio 2016  (Rep.
Atti n. 21/CSR), in attuazione dell'art. 1, comma 680, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, e' rideterminato  rispettivamente  in  113.000
milioni di euro e in 114.000 milioni di euro» (primo periodo), e  che
«per  l'anno  2019  il  livello  del  finanziamento  del   fabbisogno
sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato  e'  stabilito  in
115.000 milioni di euro» (secondo periodo). 
    Di seguito (terzo periodo) il comma 392 dispone che «le regioni a
statuto speciale e le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
assicurano  gli  effetti  finanziari  previsti  dal  presente  comma,
mediante la sottoscrizione  di  singoli  accordi  con  lo  Stato,  da
stipulare entro il 31 gennaio  2017»,  anche  se  il  quarto  periodo
stabilisce che «per la Regione Trentino-Alto Adige e per le  province
autonome di Trento e di Bolzano  l'applicazione  del  presente  comma
avviene nel rispetto dell'accordo sottoscritto tra  il  Governo  e  i
predetti  enti  in  data  15   ottobre   2014».   Attraverso   questa
disposizione, dunque, e' posto a  carico  delle  Regione  speciali  e
delle due Province autonome un contributo  da  determinarsi  mediante
accordo tra lo Stato e ciascuna autonomia speciale interessata. 
    Il successivo comma 394 stabilisce che «con i medesimi accordi di
cui al  comma  392  le  regioni  a  statuto  speciale  assicurano  il
contributo a loro carico previsto dall'intesa dell'11 febbraio  2016»
e che «decorso il  termine  del  31  gennaio  2017,  all'esito  degli
accordi sottoscritti, il Ministro dell'economia e delle  finanze,  di
concerto con il Ministro della  salute,  entro  i  successivi  trenta
giorni, con proprio decreto attua quanto previsto per gli anni 2017 e
successivi dalla citata intesa dell'11  febbraio  2016,  al  fine  di
garantire il conseguimento dell'obiettivo  programmatico  di  finanza
pubblica per il settore sanitario». 
    Il comma 528, poi, estende all'anno 2020 il  meccanismo  previsto
dall'art.  1,  comma   680,   della   legge   di   stabilita'   2016,
originariamente previsto per il triennio 2017-2019. 
    Giova   rilevare   che   tali   previsioni   rappresentano    una
specificazione (ad avviso della ricorrente Regione illegittima,  come
subito si  dira')  di  quanto  gia'  previsto  (anche  in  quel  caso
illegittimamente,  sempre  ad  avviso  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia) dall'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015. 
    Tale comma, nella versione ora modificata dalla legge n. 232  del
2016, dispone che le Regioni e le Province autonome di  Trento  e  di
Bolzano, in conseguenza dell'adeguamento dei  propri  ordinamenti  ai
principi di coordinamento della finanza pubblica di cui  alla  stessa
legge n. 208 del  2015  e  a  valere  sui  risparmi  derivanti  dalle
disposizioni ad esse direttamente applicabili ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, della Costituzione,  «assicurano  un  contributo  alla
finanza pubblica pari a 3.980 milioni di euro per  l'anno  2017  e  a
5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e  2020,  in
ambiti di spesa e per importi  proposti,  nel  rispetto  dei  livelli
essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento dalle  regioni
e province autonome medesime, da recepire con  intesa  sancita  dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano,  entro  il  31  gennaio  di
ciascun anno». Lo stesso comma 680 aggiunge poi che  «in  assenza  di
tale intesa entro i predetti termini, con decreto del Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  da  adottare,  previa  deliberazione   del
Consiglio  dei  ministri,  entro  venti  giorni  dalla  scadenza  dei
predetti termini, i richiamati importi sono assegnati  ad  ambiti  di
spesa ed attribuiti alle singole regioni e province autonome, tenendo
anche  conto  della  popolazione  residente  e  del   PIL,   e   sono
rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti  individuati  e
le modalita' di acquisizione delle  risorse  da  parte  dello  Stato,
inclusa la  possibilita'  di  prevedere  versamenti  da  parte  delle
regioni interessate,  considerando  anche  le  risorse  destinate  al
finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale». 
    Con riferimento alle Regioni a statuto speciale, il terzo periodo
del comma 680, che «fermo restando il concorso complessivo di cui  al
primo periodo,  il  contributo  di  ciascuna  autonomia  speciale  e'
determinato previa intesa con ciascuna delle  stesse»  e,  al  quarto
periodo, che «le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano  assicurano  il  finanziamento  dei  livelli  essenziali   di
assistenza come eventualmente rideterminato  ai  sensi  del  presente
comma e dei commi da 681 a 684 del presente articolo e  dell'art.  1,
commi da 400 a 417, della legge 23 dicembre 2014, n. 190». 
    E' opportuno ricordare che, benche' sia nel comma 392 dell'art. 1
della legge n. 232 del 2016 sia nel comma 680 dell'art. 1 della legge
n. 208 del 2015 si parli di Regioni speciali e Province autonome,  in
entrambi e' stabilito, negli identici termini, un regime speciale per
la regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e
di Bolzano: per esse,  infatti,  l'applicazione  dei  predetti  commi
«avviene nel rispetto dell'Accordo sottoscritto tra il  Governo  e  i
predetti enti in data 15  ottobre  2014,  e  recepito  con  legge  23
dicembre 2014, n. 190, con il  concorso  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica previsto dai commi da 406 a 413 dell'art. 1  della  medesima
legge». 
b. L'impugnazione della Regione  e  le  vicende  dell'attuazione  del
comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015. 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia ha impugnato innanzi  a  codesta
ecc.ma  Corte,  con  ricorso  iscritto  al  n.   14/2016   R.R.,   il
soprariportato comma 680, nella  parte  in  cui  esso  richiede  alla
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  contribuzioni   non   previste   nel
Protocollo d'intesa tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia per la revisione del Protocollo del 29 ottobre 2010 e  per  la
definizione dei rapporti finanziari negli esercizi 2014-2017, del  23
ottobre 2014, nonche' nella parte in cui, per  annualita'  successive
al 2017,  richiede  contribuzioni  non  concordate.  Nel  ricorso  si
censurava, tra l'altro e in particolare, che tale comma 680 omettesse
di stabilire che anche in relazione al Friuli-Venezia Giulia  la  sua
attuazione  doveva   avvenire   nei   termini   dell'accordo   appena
menzionato. 
    In attuazione dell'art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015
lo Stato e le Regioni hanno concluso in sede di Conferenza permanente
un'intesa nella seduta 11 febbraio 2016 (doc. 2), nella  quale  hanno
individuato nel Fondo sanitario nazionale la principale posta su  cui
concentrare la riduzione di spesa relativa al contributo quantificato
dal comma 680 in 3.980 milioni di euro per il 2017 e in 5.480 milioni
di euro per il 2018 e il 2019. E' stata cosi' concordata la riduzione
del Fondo sanitario di 3.500 milioni di euro per il 2017 e  di  5.000
milioni di euro a decorrere dal  2018,  mentre  si  sono  rinviate  a
successive intese le determinazioni inerenti i restanti  480  milioni
di euro. L'intesa prevede poi che nel termine del successivo 15 marzo
le Regioni propongano il riparto del predetto contributo tra di esse;
in difetto di intesa, scatta una clausola di  salvaguardia  la  quale
prevede che il Fondo sanitario nazionale sia  in  ogni  caso  ridotto
degli importi oggetto dell'intesa, e dunque di 3.500 milioni di  euro
per il 2017 e 5.000 milioni di euro a decorrere dal 2018. Per effetto
di questa riduzione concordata il Fondo  sanitario  e'  rideterminato
per l'esercizio 2017 in 113.063 milioni di euro e per l'anno 2018  in
114.998 milioni di euro. 
    Sennonche' le Regioni speciali e le  Province  autonome  che  non
avevano partecipato alla predetta intesa dell'11 febbraio  2016  (dal
verbale  sub  doc.  2  risulta  che  non  erano   presenti   ne'   il
Friuli-Venezia Giulia, ne' la Valle d'Aosta, ne' le Province autonome
e la Regione Trentino-Alto  Adige  /Südtirol),  hanno  immediatamente
segnalato di aver proposto ricorso avverso il  comma  680  avanti  la
Corte costituzionale e di non poter  aderire  ad  alcun  riparto  che
prevedesse un onere a proprio carico. Del resto,  l'intesa  raggiunta
l'11  febbraio  aveva  individuato  nel  Fondo  sanitario   nazionale
l'oggetto del «taglio» ed e' noto che,  ad  eccezione  della  Regione
siciliana, nessuna delle restanti autonomie speciali  partecipa  alla
ripartizione del predetto Fondo. 
    La stessa intesa, peraltro, prevede espressamente  che  la  parte
del contributo al risanamento  dei  conti  pubblici  a  carico  delle
regioni  a  statuto  speciale  «viene  demandata  a  singoli  accordi
bilaterali tra il Governo e le singole Regioni a statuto speciale; in
caso di mancato accordo entro un termine ragionevole, la copertura di
3,5 miliardi di euro per il 2017 e di 5 miliardi di euro per il 2018,
si conseguira' con un maggior  contributo  delle  Regioni  a  statuto
ordinario». Ne' del resto la Conferenza avrebbe potuto disporre della
posizione delle Regioni speciali senza il loro assenso. 
    Conseguentemente, con  nota  del  5  maggio  2016  (doc.  3),  il
Presidente della Conferenza  delle  Regioni  confermava  al  Ministro
delle finanze che la riduzione di cui al comma 680 doveva  intendersi
posta a carico delle sole Regioni a statuto ordinario  e  (in  parte)
della Regione siciliana. 
c. Specifica illegittimita' costituzionale dei commi 392, 394 e 528. 
    E' in questo quadro che si inseriscono gli impugnati  commi  392,
394 e 528, i quali: 
    1. riducono il Fondo sanitario nazionale  a  113.000  milioni  di
euro per il 2017, a 114.000 milioni di euro per il  2018,  a  115.000
milioni di euro  per  l'anno  2019,  e  dunque  in  misura  ulteriore
rispetto a quanto determinato  con  l'intesa  dell'11  febbraio  2016
(113.063 per il 2017 e 114.998 per il 2018)  -  comma  392,  primo  e
secondo periodo; 
    2. impongono alle Regioni speciali di concorrere a  tale  misure,
sostenendo parte di  tale  contributo,  determinato  mediante  intese
bilaterali comma 392, terzo periodo; 
    3.  condizionano  l'applicazione  del  meccanismo   al   rispetto
(unicamente) dell'accordo sottoscritto tra il Governo e  le  province
autonome di Trento e Bolzano il 15 ottobre 2014 - comma  392,  quarto
periodo; 
    4. impongono alle Regioni speciali, con i medesimi accordi di cui
al comma 392, di assicurare il  contributo  a  loro  carico  previsto
dall'intesa dell'11 febbraio - comma 394; 
    5. consentono al Ministero delle finanze di attuare  con  proprio
decreto l'intesa dell'11 febbraio  2016,  al  fine  di  garantire  il
conseguimento dell'obiettivo programmatico di finanza pubblica per il
settore sanitario - comma 394; 
    6. estendono fino al 2020 la misura di concorso di  cui  all'art.
1, comma 680, della legge n. 208 del 2015 - comma 528. 
    Ad  avviso  della  ricorrente  Regione   tali   previsioni   sono
costituzionalmente illegittime. 
d. Violazione dell'accordo del 23 ottobre 2014,  con  violazione  del
principio pattizio e di leale collaborazione. 
    Infatti, l'imposizione alla Regione di un contributo  unilaterale
alla manovra di finanza pubblica viola la sua autonomia  finanziaria,
nei termini in cui essa e' garantita dallo statuto speciale,  e  lede
altresi' l'accordo concluso con lo Stato in  data  23  ottobre  2014,
violando cosi'  il  principio  di  leale  collaborazione  (art.  120,
secondo comma, Cost.) e il principio pattizio (desumibile  sia  dagli
articoli 63, comma quinto, e 65 dello statuto, sia dall'art. 27 della
legge n. 42 del 2009), che regola i rapporti finanziari tra lo  Stato
e la Regione Friuli-Venezia Giulia. 
    La lesione di tali principi non e' esclusa per il fatto che  tale
contributo e' definito dalle singole Regioni  speciali  «mediante  la
sottoscrizione di singoli accordi con lo Stato, da stipulare entro il
31 gennaio 2017». Infatti, la misura complessiva del  concorso  delle
autonomie speciali  e'  gia'  definita  unilateralmente  dalla  legge
statale; la conclusione di tali accordi e' obbligata e  dovuta  entro
un termine molto stretto (31 gennaio 2017); il Ministro dell'economia
e delle finanze, di concerto con  il  Ministro  della  salute,  attua
comunque,  entro  30  giorni  decorrenti  dal  predetto  termine,  la
riduzione prevista per gli anni  2017  e  successivi  (il  comma  394
specifica  che  il  Ministro   procede   «all'esito   degli   accordi
sottoscritti», ma la formulazione della norma non sembra  sufficiente
ad escludere che il Ministro possa procedere in assenza di  accordo);
la complessiva disciplina, per la Regione Friuli-Venezia  Giulia,  e'
incompatibile con l'accordo del 2014. 
    Infatti, nel «Protocollo di intesa tra  lo  Stato  e  la  regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia per la revisione del protocollo del 29
ottobre 2010 e per  la  definizione  dei  rapporti  finanziari  negli
esercizi 2014-2017» firmato il 23 ottobre 2014, al fine  di  definire
un «quadro stabile e certo» di  tali  rapporti,  e'  precisamente  ed
esaustivamente   quantificato   il   contributo   finalizzato    alla
sostenibilita' del debito pubblico fino all'anno  2017,  mentre,  per
quanto  riguarda  le  annualita'  successive  al  2017,  e'   sancito
l'impegno a rinegoziare nuovi accordi entro il 30 giugno  2017  (cfr.
in particolare gli articoli 1 e 5). 
    In spregio agli obblighi assunti con tale accordo - e  quindi  in
violazione delle  norme  costituzionali  che  prescrivono  il  metodo
pattizio - lo Stato ridetermina  il  contributo  della  Regione  alla
finanza  pubblica,  imponendole  di  trasferire  allo   Stato   fondi
«equivalenti» alla riduzione del fondo sanitario nazionale concordata
con le Regioni  a  statuto  ordinario,  per  una  quota  virtualmente
imputata alla Regione ricorrente. 
e. Irragionevolezza - Violazione art. 3 Cost. 
    Il   concorso   regionale   ora   descritto    risulta    inoltre
costituzionalmente illegittimo  per  irragionevolezza  e  quindi  per
contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost. 
    Infatti il concorso e' fondato e parametrato sulla  riduzione  di
un Fondo al quale la Regione non partecipa da molti anni, dal momento
che essa finanzia integralmente il proprio sistema sanitario  con  le
compartecipazioni ai tributi erariali, ai sensi  dell'art.  1,  comma
144, della legge 662 del 1996. 
    In sostanza, il legislatore, avendo diminuito  il  fabbisogno  di
spesa sanitaria nazionale, da  un  lato  riduce  i  trasferimenti  in
favore alle Regioni  a  statuto  ordinario,  dall'altro  chiede  alla
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  la  restituzione  di   parte   delle
compartecipazioni che la  stessa  Regione  introiterebbe  in  eccesso
rispetto al fabbisogno del sistema sanitario regionale. 
    Ma il sistema non puo' funzionare cosi': se la  Regione  finanzia
il sistema sanitario «a  proprio  rischio»  con  le  proprie  entrate
fiscali generali, non e' certo  perche'  si  computi  poi  una  quota
ideale di un finanziamento statale che non c'e',  al  solo  scopo  di
poterlo sottrarre alla Regione. L'operazione e' dunque  fin  dal  suo
concetto violativa dei principi di  base  dell'autonomia  finanziaria
della Regione, che vietano di «settorializzare» le sue entrate. 
    Inoltre, mentre per le Regioni a statuto ordinario  la  copertura
del fabbisogno sanitario, assicurata da trasferimenti dello Stato, e'
comunque oggetto di verifica, per le Regioni speciali che  finanziano
il proprio fabbisogno di spesa con risorse del  proprio  bilancio  la
copertura della spesa sanitaria regionale  e'  meramente  teorica  ed
anzi presunta, non essendo per  nulla  accertato  -  e  tantomeno  in
accordo, come invece prescrive il metodo pattizio: 
    (i) l'andamento delle compartecipazioni ai  tributi  erariali  in
relazione all'andamento della spesa sanitaria programmata (potendo le
prime crescere in misure inferiore alla seconda); 
    (ii) i  proventi  delle  compartecipazioni  ai  tributi  erariali
tenuto conto degli accantonamenti applicati alla Regione in base alle
misure  di  coordinamento  finanziario  fino  ad  oggi  consolidatesi
(riducendo queste ultime la quota di risorse disponibili); 
    (iii) gli effetti delle misure di agevolazione  introdotte  dallo
Stato sui tributi erariali derivati, in  particolare  in  materia  di
IRAP (a titolo di esempio, le  misure  di  deduzione  del  costo  del
lavoro hanno  avuto  l'effetto  di  dimezzare,  nell'esercizio  2016,
l'importo del gettito IRAP accertato dalla Regione, passato da  circa
400 milioni di euro del 2015 di euro a circa 200 milioni di euro  del
2016, cosa che ha certamente  inciso  sulla  capacita'  dell'ente  di
finanziare la sua spesa sanitaria). 
    Con riferimento al profilo da ultimo ricordato, si evidenzia  che
l'analoga riduzione di gettito IRAP delle Regioni ordinario non si e'
riflessa sul finanziamento della relativa spesa  sanitaria,  giacche'
per esse la minore entrata IRAP e' stata  automaticamente  compensata
da una maggiore aliquota di partecipazione  all'IVA,  secondo  quanto
previsto dal decreto legislativo n. 56 del 2000. Anche  sotto  questo
aspetto la norma e' dunque irragionevole, oltre che  discriminatoria,
e tale vizio si riflette sulle competenze che la Regione esercita  in
materia di «igiene e sanita', assistenza sanitaria  ed  ospedaliera»,
ai sensi dell'art. 4, n.  16)  dello  statuto  (o  se  ritenuto  piu'
favorevole, in materia di tutela della  salute,  ai  sensi  dell'art.
117, terzo comma, Cost., in combinazione con l'art.  10  della  legge
costituzionale n. 3 del 2001). 
f. Disparita' di trattamento, con violazione dell'art. 3. 
    Ancora, risulta evidente la disparita' di trattamento operata dal
comma 392, quarto periodo, nella parte in cui non estende la clausola
di  salvaguardia  anche  alla  Regione  Friuli-Venezia   Giulia,   in
relazione alla esigenza  di  rispetto  del  ricordato  Protocollo  di
intesa del 23 ottobre 2014. 
    La situazione del Friuli-Venezia Giulia e  quella  della  regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol,  nonostante  la  ovvia  specialita'  di
ciascun ente, sono  comparabili  con  riferimento  agli  obblighi  di
concorso alla finanza pubblica, avendo sia la prima  sia  le  seconde
stipulato con lo Stato accordi  nei  quali  e'  quantificata  in  via
esaustiva la misura del contributo.  Il  trattamento  assicurato,  in
relazione a tali accordi, alle autonomie trentine e altoatesine funge
dunque da idoneo tertium comparationis. 
g.  In  subordine.  Illegittimita'  del  comma  392,  primo  periodo.
Violazione del principio della  leale  collaborazione,  in  relazione
alla  intesa  in  Conferenza  permanente  dell'11  febbraio  2016,  e
dell'art. 3 Cost. 
    Il comma 392  riduce  il  Fondo  sanitario  nazionale  in  misura
ulteriore rispetto a quanto determinato con l'intesa dell'11 febbraio
2016, con una differenza pari a 63 milioni di euro per il 2017  e  di
998 milioni euro per il 2018  (primo  periodo),  violando  quindi  il
principio  di  leale  collaborazione  e  lo   stesso   principio   di
ragionevolezza e di eguaglianza (art. 3 Cost.). 
    Per quanto  la  Regione  ricorrente  non  abbia  sottoscritto  la
predetta intesa, essa ha  comunque  interesse  a  che  lo  Stato  non
aumenti il contributo di parte regionale rispetto a quanto concordato
in Conferenza, visto che una quota di  tale  differenza  e'  posta  a
carico della Regione stessa. 
    Se poi la  disposizione  fosse  intesa  nel  senso  che  l'intera
differenza («gli effetti finanziari previsti dal presente comma»)  e'
posta a carico delle sole Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome,   palese   sarebbe   anche    l'irragionevolezza    e    la
discriminatorieta' (con violazione dell'art. 3 Cost. sotto entrambi i
profili) di una norma, che non  solo  chiama  tali  enti  a  concorre
secondo quanto sancito dall'intesa dell'11 febbraio 2016 (quando essi
non dovrebbero, non partecipando al FSN), ma in aggiunta accolla loro
l'ulteriore misura di concorso. 
    Pertanto,   subordinatamente   all'accoglimento   delle   censure
descritte ai precedenti punti b, c, d, e, f, che avrebbero  l'effetto
di escludere la Regione Friuli-Venezia Giulia dalle  misure  previste
nei commi 392 e 394,  la  ricorrente  chiede  che  ,  sia  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 392,  nella  parte  in
cui riduce ulteriormente il finanziamento del Fondo sanitario. 
    Per prevenire possibili obiezioni si osserva  che  la  misura  di
concorso qui impugnata non puo' essere  giustificata,  nei  confronti
della ricorrente,  con  la  competenza  concorrente  dello  Stato  in
materia di coordinamento della finanza pubblica, giacche', come si e'
detto, il sistema sanitario  regionale  e'  integralmente  finanziato
dalla Regione e, secondo l'insegnamento di codesta Corte,  quando  lo
Stato non concorre al finanziamento della spesa  sanitaria,  «neppure
ha titolo per dettare norme di coordinamento  finanziario»  (sentenza
n. 125 del 2015, ed ivi il richiamo ad ulteriori precedenti). 
    Il contributo non e'  costituzionalmente  giustificabile  nemmeno
come forma di concorso al miglioramento dei saldi di finanza pubblica
del conto consolidato  della  pubblica  amministrazione,  nel  quadro
degli  obblighi  che  derivano   dalla   partecipazione   dell'Italia
all'Unione europea. 
    Infatti,  a   tali   obblighi   gli   enti   territoriali   fanno
ordinariamente  fronte  attraverso  l'osservanza  delle  regole   sul
pareggio di bilancio stabilite dall'art. 9 della  legge  n.  243  del
2012, in attuazione degli articoli 81 e 97 Cost. E se e' vero che  la
legge statale, ai sensi dell'art. 9, comma 5, della stessa  legge  n.
243 del 2012 puo' prevedere ulteriori obblighi a  carico  degli  enti
degli enti territoriali, sulla base  di  criteri  analoghi  a  quelli
previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di  parametri
di virtuosita', e' tuttavia anche vero che tali disposizioni  -  come
precisa il comma 6 - «si applicano alle regioni a statuto speciale  e
alle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con  le
norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di  attuazione»:
ora, tale compatibilita', come si  e'  esposto  sopra,  difetta,  sia
sotto il profilo del metodo, sia con riferimento al contenuto. 
    Neppure puo'  essere  invocata,  a  sostegno  dell'accreditamento
della   misura   come   intervento   eccezionale,   l'esistenza    di
straordinarie contingenze di finanza pubblica. Cio'  in  primo  luogo
perche'  queste  non  paiono  concretamente  sussistere,  in  secondo
perche'  esse  non  valgono  di  per  se'  ad  alterare  il   riparto
costituzionale delle competenze, infine  perche'  la  misura  non  e'
affatto occasionale ed eccezionale, ma e' addirittura estesa fino  al
2020  dal  comma  528,  qui  specificamente  impugnato.  Tale  comma,
infatti, da' luogo ad una ulteriore violazione  del  metodo  pattizio
senza che sussista alcuna ragione di urgenza che  possa  giustificare
una deroga a tale principio. 
III. Illegittimita' costituzionale del comma 483, nella parte in  cui
coinvolgesse  la  Regione  nel  sistema  sanzionatorio  relativo   al
pareggio di bilancio, ma non in quello premiale. 
    Va premesso che l'art. 1, comma 483, della legge n. 232 del  2016
afferma testualmente che «per  le  Regioni  Friuli-Venezia  Giulia  e
Trentino-Alto Adige, nonche' per le province autonome di Trento e  di
Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475  e  479
del presente articolo e  resta  ferma  la  disciplina  del  patto  di
stabilita' interno recata dall'art. 1, commi 454  e  seguenti,  della
legge  24  dicembre  2012,  n.  228,  come  attuata   dagli   accordi
sottoscritti con lo Stato». 
    Tuttavia, il comma 475 contiene, alle lettere a) e b),  espliciti
riferimenti alle autonomie speciali, e in particolare alla ricorrente
Regione. 
    La ricorrente Regione ritiene  che  l'esplicita  esclusione  (con
prosecuzione del regime della legge n. 228  del  2012)  disposta  dal
comma 483 debba considerarsi prevalente. La presente impugnazione  e'
prospettata per la contraria ipotesi che - nonostante il comma 483  -
debbano  considerarsi   operanti   gli   espliciti   riferimenti   al
Friuli-Venezia Giulia contenuti nel comma 475, lettera a) e b). 
    Infatti,  dei  due  commi  dei  quali  il   comma   483   esclude
l'applicazione (il comma 475 e il comma 479), il  solo  475  contiene
dei  riferimenti  espliciti  alle  autonomie  speciali:   e'   quindi
astrattamente possibile - se inopinatamente dovesse darsi ad esso  la
prevalenza - un'interpretazione dei complessivi disposti  secondo  la
quale risulterebbe applicabile alla Regione Friuli-Venezia Giulia  il
regime sanzionatorio del comma 475, e non invece il  regime  premiale
di cui al comma 479. 
    Un  simile  disposto  normativo  complessivo,  tuttavia,  sarebbe
palesemente illegittimo. 
    La legge n. 243 del 2012 prevede infatti un impianto nel quale il
sistema delle sanzioni non puo'  essere  disgiunto  dal  sistema  dei
premi. Precisamente, secondo l'art. 9,  comma  4,  «con  legge  dello
Stato sono definiti i premi e le sanzioni da applicare alle  regioni,
ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e  alle  province
autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione delle disposizioni  di
cui al presente articolo». Di seguito si precisa che «la legge di cui
al  periodo  precedente  si  attiene   ai   seguenti   principi:   a)
proporzionalita'  fra  premi  e  sanzioni;  b)  proporzionalita'  fra
sanzioni e violazioni; c) destinazione dei proventi delle sanzioni  a
favore dei premi agli enti del medesimo comparto che hanno rispettato
i propri obiettivi». 
    E' in attuazione di  tali  disposti  della  legge  approvata  con
procedura aggravata che la legge di bilancio, accanto alle previsioni
sanzionatorie  del  comma  475,  introduce  al  comma  479  anche  la
previsione di corrispettive misure premiali. Precisamente, secondo lo
stesso comma 479, al ricorrere di determinate condizioni previste dai
commi 470 e 473, alle regioni che rispettano il saldo di cui al comma
466 e che conseguono un saldo finale di cassa  non  negativo  fra  le
entrate e le  spese  finali,  sono  assegnate  le  eventuali  risorse
incassate dal bilancio dello Stato alla data del 30 giugno  ai  sensi
della predetta lettera b) del comma 475, per  essere  destinate  alla
realizzazione di investimenti. 
    Dunque l'incasso derivante dalle sanzioni - comprese  quelle  che
sarebbero poste a carico della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  ove
prevalesse l'interpretazione sopra ipotizzata  del  richiamo  di  cui
comma 475, pur in presenza del disposto del comma 483  -  costituisce
il fondo che sara' ripartito tra gli enti virtuosi. 
    Sennonche' il comma 483 esclude dal sistema dei premi la  Regione
Friuli-Venezia Giulia, che vi sarebbe, altrimenti, inclusa. 
    In questi termini, il comma 483 dell'art. 1, nella parte  in  cui
esclude l'applicabilita' alla Regione Friuli-Venezia Giulia del comma
479, si pone  in  contrasto  con  l'art.  9,  comma  4,  della  legge
rinforzata n. 243 del 2012, che include le autonomie speciali  tra  i
destinatari del sistema sanzionatorio  e  di  quello  premiale  («con
legge dello Stato sono definiti i premi e le  sanzioni  da  applicare
alle regioni, ai comuni, alle province, alle citta'  metropolitane  e
alle province autonome di Trento e di Bolzano»). 
    Non  occorre  ricordare  che  la  legge  statale  rinforzata   e'
vincolante per  la  legge  ordinaria  in  forza  dell'art.  81  della
Costituzione e dell'art. 5 della legge costituzionale n. 1 del  2012,
che pertanto risultano violati in una con la legge n. 243 del 2012. 
    Inoltre, l'art. 1, comma 483, nella parte in  cui  escludesse  la
ricorrente  Regione  dal  solo  sistema  dei  premi,  violerebbe   il
principio di ragionevolezza (art. 3  Cost.),  perche'  determinerebbe
un'evidente e ingiustificata discriminazione  tra  il  Friuli-Venezia
Giulia - che si troverebbe esposto al  sistema  delle  sanzioni,  per
l'ipotesi che non riuscisse a conformarsi ai vincoli di bilancio,  ma
non potrebbe  mai  godere  del  riconoscimento  di  un  comportamento
virtuoso  -  e  la  totalita'  delle  altre  Regioni,  per  le  quali
potenzialmente opera un siffatto riconoscimento. 
    In sintesi, sia a termini della legge  n.  243  del  2012  che  a
termini di uguaglianza e ragionevolezza,  posto  il  «sistema»  delle
sanzioni e dei premi attuato dai commi 475  e  479  della  legge  qui
impugnata, la partecipazione al sotto-sistema sanzionatorio non  puo'
essere     legittimamente     disgiunta     dalla      partecipazione
all'inestricabilmente connesso sottosistema premiale, finanziato  coi
proventi del primo. 
    Di qui l'illegittimita' costituzionale sopra lamentata. 
IV. Illegittimita' costituzionale del comma 519, nella parte  in  cui
irragionevolmente  esclude   dall'Accordo   tra   Stato   e   Regione
Friuli-Venezia  Giulia  l'individuazione   dell'annualita'   ICI   di
riferimento per la verifica degli accantonamenti IMU finalizzati alla
neutralita'  finanziaria,  infrangendo  il  giudicato  costituzionale
formatosi con la sentenza n. 188 del 2016. 
a. La disposizione qui contestata. 
    A tenore dell'art. 1, comma 519,  legge  n.  232  del  2016,  «il
Ministero dell'economia e delle finanze e la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia procedono, mediante intesa da raggiungere entro il  30  giugno
2017, alla verifica della misura degli accantonamenti effettuati  nei
confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell'art.  1,
commi 711, 712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147,  per  gli
anni dal 2012  al  2015,  per  effetto  delle  modifiche  intervenute
rispetto all'anno 2010 in materia di imposizione locale  immobiliare»
(enfasi aggiunta). 
b. La sua origine nella sentenza di codesta ecc.ma Corte n.  188  del
2016. 
    Per meglio comprendere tale disposizione e' opportuno  ricordarne
l'origine nella sentenza n. 188 del 2016.  Con  essa  codesta  ecc.ma
Corte ha dichiarato incostituzionali i commi 711, 712 e 729 dell'art.
1 della legge n. 147 del 2013 (nella parte in cui essi si applicavano
alla Regione Friuli-Venezia Giulia), in quanto contrastanti  con  gli
articoli 49, 51, secondo comma, e 63, quarto comma, dello Statuto  di
autonomia e con il principio di leale collaborazione. 
    La  questione  sottoposta  allora  all'attenzione   della   Corte
riguardava l'imposizione alla  Regione,  al  fine  di  preservare  la
neutralita' finanziaria dopo la sostituzione dell'ICI con l'IMU,  del
sistema dell'accantonamento a favore dello Stato  di  una  parte  dei
tributi altrimenti destinati agli enti locali, maggiore  o  minore  a
seconda delle  previsioni  di  gettito  (cfr.  commi  729  e  711)  e
stabilita, peraltro, senza tenere conto del  minor  introito  causato
dai numerosi casi di esenzione dall'applicazione dell'IMU stessa (per
effetto del comma 712). 
    Nello stesso contesto si precisava che lo Stato puo' si  adottare
delle    determinazioni    unilaterali     (come     accadeva     per
l'accantonamento), ma che tale metodo «deve  essere  tuttavia  inteso
come  rimedio  provvisorio  per  assicurare  una  corretta  fase   di
"sperimentazione  finanziaria",  indispensabile  per  realizzare   un
neutrale trapasso al nuovo sistema tributario definito dalla riforma»
(ancora punto 4.1). Le determinazioni unilaterali, in  altre  parole,
non possono essere permanenti, ma sono, per loro natura, interinali. 
    L'attribuzione  del  carattere  permanente  agli   accantonamenti
stabiliti unilateralmente su mere basi previsionali costituiva invece
una chiara violazione del principio  dell'accordo  (individuato  piu'
volte come elemento cardine  dei  rapporti  finanziari  tra  Stato  e
Regioni a statuto speciale: si vedano in particolare le  sentenze  n.
133 del 2010, n. 74 del 2009, n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n.  98
del  2000  e  n.  39  del  1984),  come  emergeva  «confrontando   la
disposizione impugnata  con  il  combinato  delle  norme  contenute»,
rispettivamente, «nell'art. 49 dello statuto della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia, che prevede le compartecipazioni regionali  ai
tributi erariali, nel successivo art. 51,  secondo  comma,  il  quale
stabilisce  la  spettanza  alla  Regione  di   compartecipazioni   ed
addizionali  su  tributi  erariali   che   le   leggi   dello   Stato
attribuiscono agli enti locali del proprio  territorio,  e  nell'art.
63, quarto comma, del medesimo statuto, il quale  prevede  il  metodo
dell'accordo, nonche' nell'art. 1, comma 159, della legge n. 220  del
2010, volto ad assicurare  la  neutralita'  finanziaria  correlata  a
nuove forme di imposizione in sostituzione di tributi vigenti» (punto
4.1 in diritto). 
    In quell'occasione, inoltre, codesta  ecc.ma  Corte  sintetizzava
come segue i principi che riguardano l'accordo: 
        «lo strumento  dell'accordo  serve  a  conciliare,  nel  loro
complesso,  punti  controversi  o  indefiniti,  anche  attraverso  la
modulazione  progressiva  delle  regole  di  evoluzione  dei   flussi
finanziari, soprattutto quando  queste  sono  fortemente  influenzate
dalle tendenze di fondo dell'economia e da incisive riforme  di  tipo
fiscale, cosi' da presentare scarti previsionali rilevanti in ragione
delle traiettorie assunte da  dinamiche  molto  complesse,  le  quali
possono essere assoggettate - solo dopo una fase di sperimentazione -
ad una regolamentazione chiara e stabile nell'ambito delle  relazioni
tra Stato ed ente territoriale. Ne consegue che "il  contenuto  degli
accordi, oltre che la riduzione dei programmi in rapporto al concorso
della Regione interessata ad obiettivi di finanza  pubblica,  puo'  e
deve riguardare anche altri profili  di  natura  contabile  quali,  a
titolo  esemplificativo,  le  fonti  di  entrata  fiscale,   la   cui
compartecipazione sia  quantitativamente  controversa,  l'accollo  di
rischi di andamenti  difformi  tra  dati  previsionali  ed  effettivo
gettito dei tributi, le garanzie di finanziamento integrale di  spese
essenziali,  la  ricognizione  globale  o   parziale   dei   rapporti
finanziari tra i due  livelli  di  Governo  e  di  adeguatezza  delle
risorse rispetto alle funzioni svolte o  di  nuova  attribuzione,  la
verifica di congruita' di  dati  e  basi  informative  finanziarie  e
tributarie, eventualmente conciliandole quando risultino  palesemente
difformi [...]. Il principio dell'accordo non implica un  vincolo  di
risultato,  bensi'  di  metodo  (sentenza  n.  379  del  1992).  Cio'
significa che le parti devono porre in essere un confronto  realmente
orientato al superiore interesse pubblico di conciliare,  nei  limiti
del  possibile,  l'autonomia  finanziaria  della  Regione  con   [gli
indefettibili vincoli di  finanza  pubblica]"  (sentenza  n.  19  del
2015)» (ancora punto 4.1 del Considerato in diritto, sentenza n.  188
del 2016). 
    Nel merito, peraltro, si constatava che gia' in  occasione  degli
incombenti istruttori disposti in quel  procedimento  era  emerso  il
«vizio genetico derivante dalla grave sottovalutazione del precedente
gettito effettivo dell'ICI, indefettibile  termine  di  paragone  per
verificare la neutralita' finanziaria  delle  compensazioni  previste
dalla riforma», cui sarebbe  correlata  «la  sovrastima  del  maggior
gettito dell'IMU,  la  quale  altererebbe  ulteriormente  la  forbice
differenziale, riverberandosi  sul  calcolo  dell'accantonamento  per
tutte le annualita' successive» (punto 4.3). 
    Nella stessa sentenza n. 188 del 2016,  inoltre,  si  evidenziava
che le disposizioni statutarie e il principio di leale collaborazione
erano stati violati anche «sotto un ulteriore profilo: ossia  per  la
mancata previsione di  una  corretta  condivisione,  da  parte  dello
Stato, dei dati analitici necessari ad effettuare in  contraddittorio
le compensazioni indispensabili ad assicurare  la  neutralita'  della
riforma  fiscale  nelle  relazioni  finanziarie  tra  Stato  ed  enti
territoriali  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia   Giulia   ed,
eventualmente, le altre operazioni di cui all'art. 27 della legge  n.
42  del  2009  finalizzate  alla  razionalizzazione   delle   risorse
tributarie assegnate alla medesima Regione ed ai propri enti  locali»
(punto 4.4). 
    Cosi', il legislatore aveva finito per offrire «un  quadro  opaco
ed autoreferenziale per quel che concerne  le  dinamiche  applicative
del riparto  del  gettito»,  che  si  traduceva  in  una  «inadeguata
traduzione del  modello  costituzionale  nel  meccanismo  giuridico»,
recante   pregiudizio   alla   «possibilita'   di   un    consapevole
contraddittorio, finalizzato  ad  assicurare  la  cura  di  interessi
generali  quali  l'equilibrio  dei  reciproci  bilanci,  la  corretta
definizione delle  responsabilita'  politiche  dei  vari  livelli  di
Governo in  relazione  alle  scelte  e  alle  risorse  effettivamente
assegnate e la sostenibilita' degli interventi pubblici in  relazione
alle possibili utilizzazioni alternative  delle  risorse  contestate,
nel  tessuto  organizzativo   delle   amministrazioni   concretamente
interessate al riparto del gettito fiscale». 
    In sintesi, pertanto, la Corte evidenziava, per un verso, che era
mancato  il  necessario  accordo  alla  base   delle   modalita'   di
compensazione per  il  maggiore  o  minore  gettito  derivante  dalla
sostituzione dell'ICI  con  l'IMU,  onde  conservare  la  neutralita'
finanziaria; a monte di cio', veniva altresi' posto in luce come  una
discussione sul punto non potesse in ogni caso essere intavolata  tra
le parti in assenza di una reale condivisione dei dati di base  volti
ad assicurare la  neutralita'  finanziaria  dell'operazione  nel  suo
complesso. 
c.  Il  carattere  solo  parziale  dell'adeguamento  del  legislatore
statale. 
    La disposizione di cui all'art. 1, comma 519, legge  n.  232  del
2016 e' stata adottata, all'evidenza, in conseguenza  della  sentenza
n. 188 del 2016; essa, tuttavia,  ne  soddisfa  solo  parzialmente  i
dettami. 
    Se  infatti,  per  un  verso,  si  dispone  che   «il   Ministero
dell'economia e delle finanze  e  la  regione  Friuli-Venezia  Giulia
procedono, mediante intesa da raggiungere entro il  30  giugno  2017,
alla  verifica  della  misura  degli  accantonamenti  effettuati  nei
confronti della regione Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell'art.  1,
commi 711, 712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147,  per  gli
anni dal 2012 al 2015», richiamandosi quindi al  metodo  dell'accordo
imposto dalla sentenza  poc'anzi  richiamata,  proprio  con  l'ultima
frase del comma  si  esclude  dall'accordo  un  elemento  di  estrema
importanza, sancendo che la verifica riguardera'  gli  accantonamenti
effettuati «per effetto delle modifiche intervenute rispetto all'anno
2010 in materia di imposizione locale immobiliare». 
    L'ultimo anno di applicazione dell'ICI e' stato, pero', il  2011,
e i rendiconti dei comuni della Regione hanno registrato  un  gettito
ICI nel 2011 superiore a quello del 2010. Stando cosi'  le  cose,  e'
evidente  che  il  legislatore  statale  ha  determinato  del   tutto
unilateralmente il referente temporale cui agganciare il parametro di
valutazione del gettito, scegliendo,  per  giunta,  non  l'annualita'
piu' recente, e dunque meglio  in  grado  di  registrare  l'effettiva
dimensione  del  gettito  del   tributo   locale,   ma   l'annualita'
precedente. 
    Tale arbitraria scelta e' anche lesiva per la ricorrente Regione,
in quanto attraverso di essa si  sovrastima  il  maggior  gettito,  e
dunque si determina un artificioso incremento delle  spettanze  dello
Stato. 
    Cosi' facendo, inoltre, lo Stato esclude dall'accordo proprio uno
di quegli «altri profili di natura contabile» tra  i  quali  rientra,
per espresso dictum di codesta Corte, «la verifica di  congruita'  di
dati e basi informative finanziarie e tributarie»: cosi' occultando o
comunque  dando  per  gia'  acquisito,  a  monte  di  ogni  possibile
discussione con la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  -  atteggiamento
anche questo censurato dalla sentenza n.  188  del  2016  -  un  dato
invece fondamentale, quale quello dell'annualita' di riferimento. 
    E' evidente allora che nella parte qui contestata  il  comma  519
contrasta,  oltre   che   con   l'art.   3   Cost.   per   l'assoluta
irragionevolezza della scelta di un anno di ICI arbitrario,  che  non
e' nemmeno l'ultimo in cui la tassa e' stata in vigore, altresi'  con
l'art. 119 Cost. e con gli  articoli  48,  49,  51,  63  e  65  dello
statuto, nonche' con l'art. 27 della legge  n.  42  del  2009,  e  in
definitiva  con  il  principio  dell'accordo,  secondo   i   principi
stabiliti dalla sentenza n. 188 del 2016. 
    Infine, proprio perche' si tratta di profili di  violazione  gia'
censurati nella sentenza n. 188 del 2016, vi e'  anche  il  contrasto
con l'art. 136 Cost. e la violazione del giudicato costituzionale. 
V. Illegittimita' costituzionale del comma 463, ove inteso nel  senso
di determinare l'applicazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, per
l'anno 2016, delle sanzioni di cui all'art. 1, comma  723,  legge  n.
208 del 2015. 
    Secondo l'art. 1, comma 463, primo periodo, della  legge  n.  232
del 2016, «a decorrere dall'anno 2017 cessano di avere applicazione i
commi da 709 a 712 e da 719 a 734 dell'art. 1 della legge 28 dicembre
2015, n. 208» (enfasi  aggiunta),  cioe'  alcune  delle  disposizioni
della legge di stabilita' 2016 in materia di pareggio di bilancio. 
    La   questione   di   costituzionalita'   qui   posta    riguarda
l'interpretazione,  in  relazione  alla  ricorrente  Regione,   della
decorrenza della cessazione di tale applicazione dall'anno 2017. 
    In effetti, lo stesso comma 463  prosegue  mantenendo  fermi  non
solo  «gli  adempimenti   degli   enti   territoriali   relativi   al
monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all'art. 1, comma
710, della legge 28 dicembre 2015, n. 208», ma anche  «l'applicazione
delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del  saldo  2016,  di
cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a  727
dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208»  (secondo  periodo,
enfasi aggiunta). Di seguito la disposizione precisa che «sono  fatti
salvi gli effetti connessi all'applicazione nell'anno 2016 dei  patti
di solidarieta' di cui ai commi da 728 a 732 dell'art. 1 della  legge
28 dicembre 2015, n. 208» (terzo periodo). 
    Ora, una delle disposizioni alle quali il primo periodo dell'art.
1, comma 463, della  legge  n.  232  del  2016  toglie  efficacia  «a
decorrere dall'anno 2017 e'  l'art.  1,  comma  734  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, il quale sanciva che  «per  gli  anni  2016  e
2017,   alle   Regioni   Friuli-Venezia   Giulia,   Valle    d'Aosta,
Trentino-Alto Adige, alla Regione siciliana e alle province  autonome
di Trento e di Bolzano non si applicano le  disposizioni  di  cui  al
comma 723 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto
di stabilita' interno recata dall'art. 1, commi 454 e seguenti, della
legge  24  dicembre  2012,  n.  228,  come  attuata   dagli   accordi
sottoscritti con lo Stato». 
    In estrema sintesi, con detto comma 734 lo Stato  applicava  alle
indicate autonomie speciali, tra le quali la ricorrente Regione,  sia
la disciplina del patto di stabilita', sia  quella  del  pareggio  di
bilancio, provvedendo  tuttavia  ad  escludere  l'applicazione  delle
sanzioni in caso di violazione delle norme relative  al  pareggio  di
bilancio. 
    La nuova disposizione  di  cui  al  comma  463  della  legge  qui
impugnata nel primo periodo  sopprime  tale  esenzione  «a  decorrere
dall'anno  2017»,  mentre   contestualmente   nel   secondo   periodo
stabilisce che rimane ferma «l'applicazione delle sanzioni in caso di
mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo  comma  710,
accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell'art. 1 della legge  28
dicembre 2015, n. 208». 
    La   ricorrente   Regione    ritiene    che    un'interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione imponga  di  ritenere
che l'applicazione delle sanzioni in caso  di  mancato  conseguimento
del saldo 2016, di cui si e' ora detto, rimanga  bensi'  «ferma»,  ma
soltanto per le  Regioni  per  le  quali  essa  era  fin  dall'inizio
prevista, cioe' con l'eccezione delle autonomie speciali  di  cui  al
comma 734. 
    In altre parole, l'espressione «a decorrere  dall'anno  2017»  va
intesa come rivolta a sottoporre a monitoraggio e potenziale sanzione
gli eventi contabili relativi  al  2017,  lasciano  impregiudicati  i
corrispondenti eventi relative al 2016, anche se  la  chiusura  della
relativa rendicontazione avverra', come e' ovvio, nel corso del 2017. 
    Tale impostazione e' del resto confortata proprio dalla presenza,
all'interno del nuovo sistema, dell'art. 1, comma 483, legge  n.  232
del 2016, che ha tenore analogo a quello del comma 743, legge n.  208
del 2015, volto cioe' ad escludere le autonomie speciali dal  sistema
sanzionatorio del pareggio di bilancio. 
    La  presente  impugnazione  e'  prospettata,  percio',   per   la
contraria denegata ipotesi che si  dovesse  ritenere  che  le  citate
disposizioni del comma 463 sottopongano  a  monitoraggio  e  sanzione
situazioni e comportamenti relativi al 2016, cioe' ad un periodo  nel
quale quelle situazioni e  quei  comportamenti  ne  erano  esenti  in
ragione del comma 734 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015. 
    In  questo  caso,  il  legislatore  pretenderebbe   di   regolare
l'esercizio  trascorso  con  norme   (di   carattere,   per   giunta,
sanzionatorio)  diverse  da  quelle   che   lo   regolavano   durante
l'esercizio medesimo, e cosi' facendo renderebbe possibile  applicare
alla Regione Friuli-Venezia Giulia delle sanzioni  per  comportamenti
tenuti in un anno - il 2016 - nel quale essi non  erano  sanzionabili
per espressa disposizione della legge statale (il comma 734 dell'art.
1 della legge n. n. 208/2015). 
    Col che si contrasterebbe apertamente non  solo  con  l'art.  25,
secondo comma, della Costituzione, e specificamente  col  divieto  di
retroattivita' sanzionatoria in esso  versato,  ma  altresi'  con  un
elementare canone di ragionevolezza (art. 3, Cost.),  leso  dall'aver
prima normato esentando la Regione Friuli-Venezia Giulia rispetto  al
sistema delle sanzioni relative al pareggio di bilancio, e  poi  aver
eliminato  tale  esenzione,  regolando  cosi'   una   fattispecie   -
evidentemente  non  piu'  modificabile  nelle   sue   caratteristiche
storicamente  consolidate  -  collocata  nell'anno  passato  in  modo
opposto a quanto fatto mentre esso era in corso. 
    Evidente risulta anche, sempre in  relazione  all'art.  3  Cost.,
anche in connessione con  l'art.  97,  la  violazione  del  legittimo
affidamento  risposto  dagli  amministratori  della   Regione   nella
permanenza, per l'anno 2016 ormai trascorso, del regime disposto  dal
legislatore statale specificamente per il 2016. 
    E'  appena  il   caso   di   aggiungere   che   tali   violazioni
ridonderebbero in una lesione della autonomia  finanziaria  regionale
consacrata agli articoli 48 e 49 dello statuto.